Se Barbara D’Urso avesse affrontato il caso ENI sarebbe stato tutto più semplice: luci, un rappresentante ENI a caso, un nigeriano trovato fuori dalla stazione di Milano, Salvini in collegamento. Parte il filmato, gira la parola “tangenti” e poco più: interviste ai benzinai e a quattro ambientalisti fuori dal circo di Segrate.
Un po’ di caciara in studio fino all’arrivo di Nina Moric, Salvini che risponde a qualche tweet, finale con un selfie. Nel frattempo su Facebook tornano a girare i link “se sei contrario alle accise sulla benzina condividi!!!111!!”.
La gente che ne sa?
Insomma, il fatto eclatante sul caso ENI-Report riguarda solo la gestione dei flussi di notizie in real time: alla fine, a noi comuni mortali, assuefatti ormai da storie per lo più incomprensibili frega poco.
Sì è uno schifo, è uno scandalo, ma lo sapevamo già, no?
La Nigeria è lontana e comunque abbiamo il problema delle accise sulla benzina, perché non levano le accise sulla benzina?111!
Nella percezione comune ENI è un mostro: un cane a sei zampe che sputa fuoco non suscita certo tenerezza. Non puoi essere docile se nelle vene ti scorre il petrolio di mezzo mondo. Ma nella percezione comune è anche grazie a ENI se possiamo andare al lavoro ogni giorno: quindi siamo pari.
Il lavoro di trasmissioni come Report è ricordare a noi comuni mortali che no, non siamo pari per niente: i giornalisti non sono né buoni né cattivi, sono solo particolarmente solerti nel farci presente quando è il momento di fare i conti tutti insieme.
Carte, processi, avvocati e procedimenti a noi incomprensibili sono già in corso: non cambia assolutamente nulla esattamente come non cambia nulla dopo una puntata di Domenica 5.
A chi importa del contraddittorio online?
Eppure questa volta il caro cagnolino ha sputato fuoco all’istante: non è vero che siamo cattivi, caro Report, non fare il furbo!
Invece di aspettare l’evolversi naturale degli eventi i responsabili della comunicazione di ENI hanno voluto controbattere con una tecnica in diretta dedicata alla gente della rete.
Di solito infatti queste vicende si sviluppano secondo uno schema collaudato che scorre su due binari paralleli: da un lato la puntata con il conseguente commentario on line da parte degli utenti più o meno comuni, più o meno feroci.
Dall’altra l’azienda che tace. Seguono per alcuni giorni notizie, approfondimenti, commenti: se il social media manager è particolarmente sfortunato passerà un paio di settimane di colite. L’azienda dà mandato agli avvocati ma continua a tacere. Se il social media manager è distrutto dalla colite un A.D. prende in mano la situazione e lo obbliga a rilasciare un comunicato che dice tutto e niente. Il social media manager viene ricoverato.
La notizia sfuma.
Durante una puntata su un altro argomento viene letto un comunicato ufficiale che vale come rettifica o diritto di replica, a seconda dell’astuzia degli avvocati.
Comunque l’azienda dice tacendo.
La gente non se ne accorge neanche, c’è un nuovo caso appassionante da commentare!
Instant caos
Conscio dell’esperienza di altri social media manager di grosse aziende con grossi problemi, il team di comunicazione di ENI ha scelto quindi di levarsi subito il dente dolente e per non perdere minuti preziosi ha replicato su twitter durante la diretta proponendo prove, documenti e infografiche.
Ufficialmente per spiegarsi con il pubblico: in realtà per innescare un vero e proprio gioco di forza tra team di comunicazione, tant’è che è intervenuto addirittura il direttore di Rai3 per chiarire al direttore della comunicazione esterna di Eni che Report non prevede ospiti in diretta.
Ora, io sarò anche un po’ lenta di comprendonio, e già faccio fatica a seguire Report: figuriamoci se dovessi anche aprire le infografiche proposte in tempo reale da ENI. O peggio gli scambi di mail tra la redazione di Report e l’ufficio stampa di ENI.
Si è parlato di instant marketing, di win di Eni e cose così: si è parlato poco di Nigeria, di ricchi e di poveri, di ambiente e sfregio. Ma è normale così. È il mondo che va così.
A mio parere l’unica novità apprezzabile è che le tecniche di gestione in real time dell’entertainment di basso livello siano state assimilate anche ai piani alti, con una proposta di contenuti ben più difficili da comprendere.
Ma a questo ci aveva già abituati l’attuale politica. Quello che ricordiamo è solo lo scambio di tweet.
L’instant marketing è per la gente: quello che abbiamo visto non ha nulla a che fare con la gente anche se è avvenuto su un canale aperto e frequentato da persone comuni.
Un’azienda deve stare sul pezzo per mostrarsi pulita? Certo, ma questo non significa che il livello non rimanga lo stesso dei bimbiminkia che si bullizzano a vicenda, nonostante il colletto bianco.
Una cosa che durante le trasmissioni di Barbara D’Urso succede già da un pezzo.